sabato 1 dicembre 2012

Primo dicembre

Oggi non sto bene, sono malata. Da tutto il giorno vado in giro con un peso sullo stomaco che ha un solo nome, ed è il tuo.
Oggi è il tuo compleanno.
Non ci sentiamo da molto, e non so perché. Che sia colpa mia, colpa tua o colpa di entrambe sinceramente non importa.
L'unica cosa che importa è che ti voglio bene come allora, come sempre.
Che il tuo posto non l'ha preso mai nessuno.
Che ti penso spesso, e non tanto perché avrei bisogno di te ma perché vorrei sentirti ridere, sapere che stai bene e che si è risolto tutto.
Mi manca quel divano scassato, e mi mancano i popcorn e le perline e le tisane e le confidenze e i ravioli al vapore e gli abbracci stretti e i pescaditos e la signora Fletcher e tutto, tutto di noi.
Ci siamo perse da qualche parte e non riesco a capire dove.
L'unica cosa che spero è che tu stia bene, soddisfatta e in salute; che non abbia tempo per me perché sei troppo occupata ad essere felice.
Auguri bambi.

mercoledì 5 settembre 2012

Lambrusco (ancora)

Si dovrebbe fare sempre così nei giorni di pioggia, stare vicini e insieme a tanta gente, col bicchiere in mano e i dieci gradi del lambrusco nel sangue, a scaldare la voce, a far brillare gli occhi.
Così, con persone nuove mai viste prima, per lasciarsi indietro tutto il passato, quel che siamo stati e che gli altri ancora ci appiccicano addosso come le etichette sui libri scontati, che non riesci a levare neanche a morire.
Vivere così, dopo aver vinto le menate adolescenziali che ci portiamo dietro sempre, anche quando arrivano le rughe al posto dei brufoli. Mangiare cose buone, bere vino, avere accanto sempre qualcuno da abbracciare, per la gioia di vederlo, per l'allegria di stare insieme, per parlare ma anche solo per ascoltare voci umane, accenti diversi, scoppi di risa, qualsiasi cosa che non sia un silenzio.
Stendere la mano e trovarne un'altra che ti stringe, essere stanca e avere una spalla vicina su cui appoggiare la testa, aver voglia di coccole e trovare braccia aperte lì pronte, così dovrebbe essere, sempre.
Non come quei giorni in cui l'unico contatto fisico che hai è quando il negoziante ti lascia il resto in mano.

venerdì 24 agosto 2012

L'estate crudele

Lo cantavano le Bananarama che l'estate è crudele.
Piena di promesse come quando da ragazzini avevamo davanti tre mesi tutti da riempire con la promessa sottile della pelle calda e abbronzata, delle labbra salate da assaggiare, dei desideri a solcare il cielo notturno di tutti i nostri "da grande farò... sarò..."
Poi grandi lo siamo diventati anche senza fare o essere tutto quello che le stelle ci avevano garantito, e siamo diventati anche più ironici e divertenti e saggi e acuti e consapevoli e disincantati oppure no, tanto è lo stesso.
Io non volevo chissà quali cose, volevo una mano da stringere forte al buio guardando in su, tanto che tutte le mie stelle, tranne una che ho regalato, si son chiamate così, con quel nome lì, sempre lo stesso. Invece questa è stata l'estate in cui finalmente ho imparato a stare bene da sola. Che è una cosa stupenda, meravigliosa, ma io da sola ci sto da tanto, e volevo proprio vedere se sarei stata capace di fare quelle cose banali che fanno tutti, tipo cercare casa con lui, sposarsi innamorati pazzi, avere un figlio in braccio e fare le foto insieme con la faccia instupidita dalla felicità, cose così insomma.
Alla prossima notte di San Lorenzo, alla prossima estate, chiederò un pony, così magari mi arriva, che so, un motorino.

sabato 30 giugno 2012

Come una rondine

Stasera ero ad un concerto in un chiostro. C'era tanta gente.
Ad un certo punto come mi succede da un po' mi è venuta voglia di starmene cinque minuti da sola. Sono stata così tanto tempo sola negli ultimi anni che non dovrei averne più bisogno per mezza vita almeno, e invece no, non è così.
Sono uscita con la scusa di una sigaretta, era il crepuscolo.
C'erano mille rondini che volavano a bassa quota, appena sopra la mia testa. Rapide come frecce nere scoccate da un arco, innamorate del vento, giocavano nell'aria e garrivano volteggiando eleganti e snelle.

Che poi lo so che stavano semplicemente cacciando insetti eh, lo so. 
Ma erano così belle, sembravano così libere.
Così pazzamente felici.

venerdì 15 giugno 2012

I giorni di vento

Arrivano improvvisi questi giorni di vento. La brezza spazza instancabile il cielo, porta nuvole che corrono furiose, svelando veloci cieli azzurri e sole e stelle sfavillanti. Fa stormire le foglie degli alberi, imitando il suono dei ruscelli e delle cascate. Spettina i capelli e fa volare come aquiloni anche i pensieri che credevi di aver riposto in qualche angolo sicuro, entra dalla finestra e ti volta le pagine del libro per dispetto.

Non mi è mai piaciuto il vento, mai. Diceva sempre mio nonno che il vento dà fastidio ai matti; ho sempre pensato che fosse un giorno come questi che mio zio, quello strano, per far vedere che era coraggioso uscì di casa saltando dalla finestra della cucina al secondo piano.
Son convinta che il vento faccia fare cose strane. Forse è per questo che mi fa paura. E allora rispondo male a tutti e prendo un altro moment per il mal di testa, mi dà fastidio la corrente e urlo stizzita "chiudi quella cazzo di porta che sbatte!", di notte non dormo, mi volto nel letto e ascolto i rami battere contro alle finestre.

Stasera ero in strada ad aspettare gli amici. Si è alzata una folata e io ho guardato in su e ho visto il cielo rosso di tramonto e la mia strada come incendiata, ed era bello. Io ero lì, pesante e un po' grigia, guardavo gli uccellini rincorrersi in aria giocando con ogni refolo d'aria e all'improvviso mi è venuta voglia di aprire le braccia e volare via, portata dal vento, come un uccellino. Lasciare tutto a terra, i ricordi le cose la gente le illusioni e farmi portare dall'aria in un posto che non so.
Ho capito anche un po' mio zio, sì, quello strano, che forse il vento ce l'ha nella testa e allora per forza che i pensieri gli si confondono a volte, ho capito le onde del mare e le barche a vela e gli aquiloni e i palloncini e le rondini ed ero quasi contenta.

Perché alla fine forse non è proprio che lo odio, il vento. Forse ho solo paura di questa voglia d'ali, di questi pensieri spettinati. Di questi inizi nuovi di quando dici, va bene, basta, volto la pagina, ricomincio.
Forse è solo paura.

martedì 17 aprile 2012

Ora

Qualche volta è bello ricordare. Con questo sole che sembra nuovo di zecca e l'aria ancora fredda ascolto canzoni che non dovrei sentire perché troppo piene di noi. Guardo le foto ed è come se potessi toccarti, come se fossimo ancora vicini, in tutti i sensi.
Mi ricordo i pomeriggi pigri a chiacchierare sul letto, a sentire musica, a fare l'amore. Mi piaceva, dopo, restare lì con gli occhi chiusi, la testa sul tuo petto, a sentire quel piccolo respiro profondo che fai sempre quando ti addormenti, ad annusare il profumo di pesca del tuo bagnoschiuma. Qualche volta non dormivo e guardavo i tuoi capelli sottili, la tua pelle liscia che mi sembrava d'oro. Aprivo gli occhi e cercavo di fotografare con uno sguardo tutto; il lago scintillante fuori dalla finestra, le lenzuola a fiori, le tue gambe e le tue spalle e i tuoi occhi chiusi. Poi ti svegliavi e dicevi dai, alziamoci, andiamo a mangiare, facciamo un giro, guardiamo un film, e io chiedevo sempre "ancora cinque minuti, ancora un pochino, dai, resta qui, ti racconto una storia, ti faccio i grattini, resta qui, fatti abbracciare". Ti stringevo più forte e mi sforzavo di guardare tutto, di respirare profondamente, per non perdermi niente, per fare scorta per i tempi duri.
Poi i tempi duri sono arrivati, e forse sono passati o forse no, dipende dai giorni. Le scorte sono finite, o forse no, visto che ancora sto qua a scriverne.
Ripenso a quel bagliore che avevi, che hai ancora fuori e dentro e che non è più mio.
Ci penso e quella scintilla non vorrei perderla, neanche quando fa più male.
Neanche ora.

domenica 1 aprile 2012

Centonovantanove pezzetti

Prima o poi doveva succedere.
Sono uscita indenne da innumerevoli inferni; bianchi e asettici come ospedali, caotici come stazioni, scuri come abbandoni. Sempre con la mia testarda voglia di dare tutto, di spendere tutto nei rapporti, anche quando mi costava, quando dovevo andare contro il mio egoismo, certa che l'unica mia forza era di mostrarmi così, imperfetta e fragile come sono. Dire "ti voglio bene" per me era una promessa. Non sono mai stata io ad andarmene per prima. Mai. Onesta e sincera, aperta come un libro, dal fango della mia vita sconquassata sono sempre uscita con quel residuo di ingenuità bambina che mi faceva credere che se ti impegni e dai tutto, ottieni tutto.
Non è così.

Guardavo certe donne sempre in tiro, sempre sorridenti, mai un legame serio, sembrava che non le avesse mai sfiorate il dubbio di sentirsi inadeguate. Pensavo, ma guarda che dura, guarda che stronza, ma perché deve fingere sempre, perché non si fa vedere per quella che è davvero?

Poi sono andata in pezzi. Mille volte, prima di cedere.
E quando finalmente mi sono arresa, l'unico modo per tenere insieme i centonovantanove pezzetti che restavano era mettersi intorno una bella corazza. Un guscio traslucido che lasciasse fuori tutti, tutto, tranne me.
Ho imparato che le persone vanno e vengono. Che non c'è bisogno che io stia ad aspettare tessendo la mia tela come Penelope, perché chi va non torna, e chi ha ricevuto affetto o amore non sempre ricambia. Non c'è alcun bisogno di dare il meglio di me, di sforzarmi di essere quella che c'è sempre nonostante tutto.
Ho scoperto che chi si mostra fragile ha perso in partenza. Sempre.
In amore, in amicizia, le regole non cambiano. Mi hanno deluso entrambi, mi hanno ferito allo stesso modo.

Adesso vado in giro con la schiena più dritta, il sorriso un po' ironico. Non abbasso gli occhi davanti a nessuno, non ho bisogno di nessuno. Ogni tanto mi esce dai denti una battuta un po' cinica. Mi trucco più volentieri, sono più leggera. Non sento più nessun peso. Mi godo tutto quel che posso, senza chiedere nulla al domani. Prendo la gente per quello che è.
Anche io finalmente ho la mia buccia.

Qualche volta penso che prima ero una persona migliore, lo so che è così.
Ma, oh, prima di tutto bisogna sopravvivere.

mercoledì 28 marzo 2012

La torta di caramelle

Mi piace molto cucinare.
Trovare una ricetta, andare a comprare gli ingredienti, pesare tagliare montare impastare cuocere, tutto pensando alla persona o alle persone che poi mangeranno il risultato, mi piace da matti. Il cibo per me è qualcosa in più che semplice nutrimento. È piacere, è cura di sé e dell'altro, è una coccola, una scoperta.
Quando sono triste mi piace cucinare, mi rasserena. Più di tutto amo cucinare pane, focacce, torte, lievitati in genere. C'è una poesia nel pane, nell'attesa mentre il lievito si sveglia, nelle pieghe per sostenere la maglia di glutine, nella consistenza del panetto ben impastato. Il profumo del pane mentre cuoce è la cosa più antidepressiva che potete procurarvi senza ricetta medica. Quando una ricetta è ben scritta, se segui tutte le indicazioni in modo preciso, rigoroso, non puoi sbagliare. Il risultato sarà esattamente quello promesso; non avrai brutte sorprese, mai.

Una volta ho sentito parlare di una torta con il ripieno di cioccolato e caramelle. Sapete quelle caramelle di menta a parallelepipedo? ecco, quelle lì. I miei l'avevano assaggiata e mi dicevano ahhh una torta così buona, ahhh non puoi capire quel ripieno, ahhh la meraviglia fatta torta, ahhh la consistenza... e insomma, io ho chiesto la ricetta alla signora che l'aveva preparata e ho provato a rifarla.
Niente da fare. Mancava qualcosa, o farina o fecola, ma la torta non stava insieme. Ho provato a cuocerla ugualmente, è uscita una cosa immangiabile. L'ho riprovata un bel po' di volte, cercando di inventarmi le quantità, provando a ottenere una consistenza che secondo me poteva essere giusta, ma niente, zero. Ho richiesto alla signora se non si fosse per caso dimenticata qualche passaggio, ma no, no, giurava, era proprio così, l'aveva fatta mille volte.
Alla fine ho dovuto rinunciare. Ogni tanto quando sfoglio il quaderno delle ricette mi capita sotto l'occhio questa qui e tutte le volte sospiro e scuoto la testa. È una ricetta sbagliata, non c'è niente da fare.

Anche con le persone è così. Coi rapporti è come con le ricette. Tu ci metti cura, tempo, pazienza, energia, ma purtroppo non sempre basta. Volevi una bella torta alta, soffice, con il ripieno fondente e zuccherino, invece ti esce una pappetta informe e troppo dolce. Non è colpa tua.
Sono solo ricette da non riprovare, da nascondere tra le pagine del tuo quaderno.
Ogni tanto ti capitano in mano, le riguardi e scuoti la testa. Poi giri pagina.
Sono solo ricette sbagliate.

sabato 24 marzo 2012

Un caffè

Sono tornata nell'ultimo posto dove siamo stati io e te insieme.
Non ho fatto apposta, è capitato.
Il nostro tavolo era vuoto e io guardavo la sedia dove eri seduto tu, quel giorno, e mi sembrava quasi di vederti.
C'era il sole e le margherite e un sacco di bambini che correvano ridendo e gli alberi alti e scuri coi piccoli germogli verdi ed era talmente primavera che faceva quasi male.
Lì vicino c'era un ragazzo indiano che vendeva palloncini.

Mi sono seduta e ho preso un caffè e una bottiglietta di acqua gasata. Ogni tanto pensavo a te e guardavo il cielo, mi capita sempre questa cosa di ricordarmi di te e guardare in su, vai a saperlo il perché.
Poi ho visto un palloncino impigliato tra i rami, proprio sopra alla seggiola dove sei ancora seduto, in quella foto che ho fatto tanto tempo fa.
Poi il caffè non era buono come mi ricordavo. 
Poi sono arrivati altri cinque indiani e hanno cominciato a litigare e a spintonarsi col venditore di palloncini e intanto un papà sgridava sua figlia a voce alta, in dialetto.

Allora era sempre primavera, ovviamente, ma non più così tanto.
Mi sono alzata e sono andata via.
Non mi sono voltata indietro neanche per un attimo.

venerdì 16 marzo 2012

Le cose che ho imparato

Ho imparato che dalla gente non devi aspettarti niente. Ma non come se fosse una cosa brutta, eh, no.
Le persone sono come le piante, un melo non potrà mai e poi mai darti albicocche, non potrebbe neanche se lo volesse. Ti darà mele, sempre mele, più o meno buone secondo il tempo, la stagione, la terra in cui vive. Io l'ho imparato adesso, io che voglio i fichi dai meli e le pesche dalle viti, voglio tutto da tutti, in tutte le stagioni, e invece non si fa così, non si può, non è giusto. È una legge della natura, ognuno dà quel che può dare, è sciocco arrabbiarsi se le aspettative sono sbagliate.  

Ho imparato che sono capace di stare da sola. Non credevo, ma è così. Preferisco di no, ma se capita riesco. Poi sola sola non ci resto mai, perché va a finire che alla fermata dell'autobus parlo coi vecchietti, per strada sorrido ai bambini piccoli finchè non mi chiamano per farmi ciao con la mano, al supermercato chiacchiero con le persona in fila e con le cassiere e insomma, non sto mai zitta e a volte parlo anche coi gatti o addirittura coi miei fiori (forse non dovrei dirlo, non figuro bene, ma qualche volta anche loro hanno bisogno di incoraggiamento, non è mica facile neanche essere un fiore, di questi tempi).

Ho imparato che non è vero che tutto passa. Passano le cose, il tempo, le mode, le sensazioni, i treni. Ma certi sentimenti non passano, non si affievoliscono, sono come i diamanti; niente può scalfirli. Diventano parte di te, del tuo essere, come un pezzo che mancava trovano il loro posto e basta, stanno lì.
Si impara a non cercare più di combatterli, a volerli distruggere. Puoi solo metterli da una parte, accettarli come un rumore di fondo.
Alla sera, quando il sole scende, senti una piccola malinconia, come un frullo d'ali nel torace, ed ecco che ti ricordi, che li percepisci. Non fanno neanche più male, quasi.
Mentre il sole scompare, ci pensi ancora un po', guardando il cielo rosso e arancio. Sospiri e vai avanti, e ridi lo stesso, e viene primavera ugualmente, e le stelle son sempre bellissime, e il mondo gira esattamente come prima.

giovedì 15 marzo 2012

Appannata

Dopo i momenti più difficili, mi capita sempre.
Io vivo appannata. Come se ci fosse da qualche parte una manopola per abbassare l'intensità, una specie di termostato. Quando rischio di soccombere, zac, abbasso il volume.
Tutto arriva attutito come attraverso strati di ovatta. Rido moderatamente, mi commuovo poco.
Al mio posto c'è l'androide X-319-AJ, mentre io mi sono lasciata da qualche parte a riposare. Spero di essere vicino al mare, almeno. Sto lì seduta con le braccia intorno alle ginocchia, cercando di occupare meno posto possibile, che ai confini tutt'intorno a me la memoria, la nostalgia, la realtà e altri mostri simili mi assediano aspettando al buio.
L'androide intanto fa quel che deve, incontra gente, arrossisce ai complimenti, risponde al telefono, cose così insomma. Non si emoziona, non si scompone, non si rallegra, non si intristisce, non spera. Fa il suo sporco lavoro. Para i colpi e mi tiene al sicuro.
Intanto io canticchio note senza parole, che le parole mi riportano troppo dentro me stessa e fanno male. Non riesco a leggere, inizio a scrivere e cancello, non guardo film, non ascolto musica. A volte guardo la tv, anche se perfino l'androide si accorge che fa schifo.
Certo che è veramente bravo. Scrive perfino i post. 

giovedì 1 marzo 2012

Lambrusco

Stasera bevo alla mia salute.
Mi verso il vino in un bicchiere qualsiasi. Un vino della mia terra, un rosso porpora che i sommelier alla moda disdegnerebbero di certo. Ne bevo grandi sorsate, senza centellinarlo, a piena gola.
E a piena gola rido, sento il suo sapore di more, di lamponi, di fragole mature, sento le bollicine leggere che frizzano sulla lingua. Poi arriva l'amaro del tannino, che asciuga la bocca, ma non troppo.
Brindo a me, perchè oggi è tutto diverso.
Sospiro di sollievo, finisco il bicchiere, ne verso ancora.
Oggi mi svesto di tutto, dell'attesa, della tristezza, dei ricordi, delle speranze. Sono come vestiti invernali troppo pesanti, oramai, in quest'aria nuova. Oggi smetto di chiedermi il perché. Non voglio più essere quella che piange e che non riesce a mangiare o a dormire mentre tu ridi e fai l'amore con un'altra.

Da oggi voglio essere diversa.

Faccio un altro brindisi e mi prometto di cercare la felicità tenacemente; nei libri, nelle canzoni, nei cibi buoni e nei vini che amo, nei fiori e negli angoli di luce, nell'acqua. In tutte le cose da cui posso prenderla, cercherò la gioia, strappandola coi denti a questa vita bella e crudele che non mantiene mai le sue promesse.
Giuro solennemente di mettere tutto in un cassetto e di ricominciare.
Sono un po' ammaccata sì, ma le cicatrici non sono mortali. Sono viva, dopotutto.
Sono ancora qui, golosa di vita, ancora sognatrice tenera e esigente, forte e sola e tranquilla.
Bevo, e mando giù tutto insieme al vino: le parole che mi hanno ferito, i silenzi, i rifiuti, tutto.
Basta ripensare, basta girare in tondo intorno a te.
Non mi interessa più. Troppo tempo è passato, troppa vita. Niente più importa.

Appoggio il bicchiere, e ti lascio andare. Vai per la tua strada, non ti trattengo più. Non avrei mai lasciato la tua mano, mai, se solo tu avessi stretto forte la mia. Lo sai.

Non mi trattieni più.
La vita chiama forte il mio nome, il mio nome solo.
Rispondo.
Adesso è il mio turno.

lunedì 27 febbraio 2012

Un elefante in una cristalleria

Il fatto è che io quando sento parlare del famoso elefante in una cristalleria mi sento sempre un po' confusa.
Normalmente ci si riferisce ad un essere grande e sgraziato che ciecamente distrugge piccoli bicchieri delicati, vasi trasparenti, effimere opere d'arte cristallina.

Io invece penso ad una creatura possente troppo lontana da casa sua, mortificata e costretta dentro ad uno spazio angusto, ferita da milioni di piccole schegge affilate.

Sono strana io, lo so.

domenica 26 febbraio 2012

Le mie parole

Sono sparite tutte le parole.

I nomi delle cose non li ricordo più, scivolano liquidi tra le mie dita mentre provo ad afferrarli.
Non capisco quel che succede, perché non riesco a chiuderlo in una frase che abbia senso compiuto. La realtà sfarfalla davanti ai miei occhi, diafana come un miraggio. Non so dire niente di me, tranne qualche riga che esce a fatica, incompleta, riluttante. Mi sembra a volte di pensare in una lingua non mia.
Sei andato via, e come ha fatto il pifferaio magico coi bambini della favola, ti sei preso le mie parole.
Le ho usate così tanto per te, come carezze come corazze come soldati o come spine o come cibo o come sorrisi, che ti si sono incollate addosso, dimentiche di chi le aveva mandate. Ora puoi darle a chi vuoi, a chiunque.
Sono un po' lise ma buone e forti. Non sono più mie.

Io resto qui, a disegnare arabeschi in aria, col dito.

domenica 19 febbraio 2012

Cambiare idea

Quando ti ho visto la prima volta eri un nome, una foto, una cicatrice.
Non è mai un bel biglietto da visita essere una cicatrice.
Da lontano ci guardavamo in cagnesco, ad un solo grado di separazione. Ci siamo fatte del male, reciprocamente, a volte inconsapevolmente e a volte meno.
Succede.
Io vedevo oggetti che non potevano essere che tuoi, sentivo le canzoni che avevi ascoltato anche tu, guardavo lo stesso paesaggio che vedevi tu, e di tanto in tanto una fitta mi colpiva allo stomaco, e pensavo alla cura e all'amore che avevi avuto. Mi commuovevo, a volte.
Sai, io sono molto brava a commuovermi e a immedesimarmi. Sono le cose che mi riescono meglio.
Piano piano ci siamo avvicinate, per merito di chi, suo malgrado, si trovava tra noi due. Abbiamo parlato di piccolezze, per iniziare, e siamo andate avanti. Uno scalino alla volta.
Nessuna delle due è brava a portare rancore, per fortuna. Nessuna delle due sa essere testardamente attaccata ad una convinzione sbagliata. Abbiamo cambiato idea, l'una sull'altra.

Ora io sono come eri tu, quando ho sentito parlare di te la prima volta. Sono una ex. Brutta razza.
Certe cose riesco a dirle solo a te. Perché sai esattamente di chi sto parlando, non ho bisogno di spiegarti. Conosci il valore di quello che ho perso, sai cosa volevo e ho soltanto sfiorato, e ricordi la strada che io devo ancora percorrere, lentamente, faticosamente. Sai tutto.
Sono la ex del tuo ex. Sei la ex del mio ex.

Arriverà presto un'altra per cui sarò io, stavolta, un nome, una foto, una cicatrice.
Avrò bisogno di te, lo sai vero?
Dimmi che questo vuoto diventa in qualche modo gestibile, sopportabile.
Dimmi che l'amore non finisce, che cambia solo forma, colore, consistenza. Che gli unici sentimenti che se ne vanno lasciando solo ricordi lontani sono l'invidia, la rabbia, la disperazione.
A te crederò.

Sono contenta di averti trovata, anche se in modo poco usuale. Sei una delle poche cose buone che riesco a vedere chiaramente intorno a me, in questi giorni grigi.
Ti voglio bene, A.
Buon compleanno.

giovedì 16 febbraio 2012

Improvviso

Improvviso e inaspettato, arriva un giorno così.
Il cielo pare un lenzuolo azzurro messo ad asciugare, il sole ti costringe ad alzare la testa, a respirare a fondo, con gli occhi chiusi. L'aria accarezza i rami nudi, bisbigliando parole che sanno di foglie.
La neve copre ancora la terra, quasi volesse chiederle di continuare a dormire. I semi obbedienti, nel buio, sognano radici e germogli.

Sembra già primavera.
Fuori.

martedì 14 febbraio 2012

San Valentino

Non ho un buon rapporto con questo giorno.
A 13 anni, età della mia prima cotta, avevo comprato un portachiavi ad orsetto con in mano un cuore. Con sforzi sovrumani ero riuscita a darlo al mio morosino di allora balbettando in qualche modo un "buon San Valentino" appena percepibile dall'orecchio umano.
La risposta fu "Non posso tenerlo, se lo trova mia mamma mi vergogno".
Mi ricordo di aver sentito distintamente un forte CRASH! nell'angolo del cuore dove abitavano le principesse Disney.
Il mio primo moroso serio decise proprio a San Valentino che era giunto il momento di dirmi che aveva appena ricevuto picche da una sua compagna di università che lui aveva invitato a cena, e che forse io e lui avevamo un problema. Mi ricordo di essere rimasta senza parole perché, pur non avendo un gran senso dell'ordine, mi pareva che qualcosa non andasse.
Avevo voglia di consolarlo, di mandarlo affanculo , di ridergli in faccia e di prenderlo a sprangate in varie parti del corpo, contemporaneamente. Con una leggera prevalenza di sprangate, però.
Altro moroso, altro giorno degli innamorati. Eravamo a cena fuori in questo locale pieno di coppie e di candele accese. Un po' da pelle d'oca, lo so. Non in senso buono, intendo.
Avevo bevuto come se non esistesse il mal di testa post sbornia, e mentre ridevo con la grazia e l'eleganza di Wanna Marchi mi presero fuoco i capelli; praticamente tutti ridevano, compreso il proprietario, le cameriere e il mio fidanzato (che peraltro aveva un tresca da mesi con un'altra tizia).
Stasera resterò a casa, con un pacchetto nuovo di caramelle al miele, uno di sigarette e un po' di alcol sotto varie forme, a cercare di tenere insieme i pezzettini del mio stupido cuore che sì, vorrebbe festeggiarlo degnamente prima o poi, questo San Valentino.
Ma così, senza pretese, giusto per vedere che effetto fa.
I cuori, si sa, non sono mai molto lungimiranti.