Ogni volta che devo fare i conti con le mie paure più grandi, con le mie ferite, ogni volta che credo di essermi allontanata da questi momenti, mi succede di essere tirata di nuovo indietro, di sentire come un elastico alla base della schiena che mi riporta a velocità supersonica nel mio letto all'ospedale, in camera coi miei mentre mio padre mi dice "la mamma ha il cancro" o nella stanza con S. che mi guarda in un modo per cui io so che è finita. Sono sempre lì, sono ancora lì. ed è come se tutta la strada percorsa non significasse niente, in un attimo l'elastico ti riporta da capo.
Però son testarda, anche da disperata; vado avanti lenta, ma vado. Fermare il mondo per scendere, come scrivevamo sulle smemo da ragazzini, non si può. Si va avanti, si tira l'elastico, si viene sparati indietro, si riparte, si arriva un po' più lontano, si ritira l'elastico, ancora un volo indietro, finché ad un certo punto, sono sicura, si sente un forte "SNAP!" e basta, l'elastico si è rotto, noi facciamo un sospiro di sollievo e via, abbiamo solo un sacco di vita e di sole davanti e tutta la notte dietro.