mercoledì 28 marzo 2012

La torta di caramelle

Mi piace molto cucinare.
Trovare una ricetta, andare a comprare gli ingredienti, pesare tagliare montare impastare cuocere, tutto pensando alla persona o alle persone che poi mangeranno il risultato, mi piace da matti. Il cibo per me è qualcosa in più che semplice nutrimento. È piacere, è cura di sé e dell'altro, è una coccola, una scoperta.
Quando sono triste mi piace cucinare, mi rasserena. Più di tutto amo cucinare pane, focacce, torte, lievitati in genere. C'è una poesia nel pane, nell'attesa mentre il lievito si sveglia, nelle pieghe per sostenere la maglia di glutine, nella consistenza del panetto ben impastato. Il profumo del pane mentre cuoce è la cosa più antidepressiva che potete procurarvi senza ricetta medica. Quando una ricetta è ben scritta, se segui tutte le indicazioni in modo preciso, rigoroso, non puoi sbagliare. Il risultato sarà esattamente quello promesso; non avrai brutte sorprese, mai.

Una volta ho sentito parlare di una torta con il ripieno di cioccolato e caramelle. Sapete quelle caramelle di menta a parallelepipedo? ecco, quelle lì. I miei l'avevano assaggiata e mi dicevano ahhh una torta così buona, ahhh non puoi capire quel ripieno, ahhh la meraviglia fatta torta, ahhh la consistenza... e insomma, io ho chiesto la ricetta alla signora che l'aveva preparata e ho provato a rifarla.
Niente da fare. Mancava qualcosa, o farina o fecola, ma la torta non stava insieme. Ho provato a cuocerla ugualmente, è uscita una cosa immangiabile. L'ho riprovata un bel po' di volte, cercando di inventarmi le quantità, provando a ottenere una consistenza che secondo me poteva essere giusta, ma niente, zero. Ho richiesto alla signora se non si fosse per caso dimenticata qualche passaggio, ma no, no, giurava, era proprio così, l'aveva fatta mille volte.
Alla fine ho dovuto rinunciare. Ogni tanto quando sfoglio il quaderno delle ricette mi capita sotto l'occhio questa qui e tutte le volte sospiro e scuoto la testa. È una ricetta sbagliata, non c'è niente da fare.

Anche con le persone è così. Coi rapporti è come con le ricette. Tu ci metti cura, tempo, pazienza, energia, ma purtroppo non sempre basta. Volevi una bella torta alta, soffice, con il ripieno fondente e zuccherino, invece ti esce una pappetta informe e troppo dolce. Non è colpa tua.
Sono solo ricette da non riprovare, da nascondere tra le pagine del tuo quaderno.
Ogni tanto ti capitano in mano, le riguardi e scuoti la testa. Poi giri pagina.
Sono solo ricette sbagliate.

sabato 24 marzo 2012

Un caffè

Sono tornata nell'ultimo posto dove siamo stati io e te insieme.
Non ho fatto apposta, è capitato.
Il nostro tavolo era vuoto e io guardavo la sedia dove eri seduto tu, quel giorno, e mi sembrava quasi di vederti.
C'era il sole e le margherite e un sacco di bambini che correvano ridendo e gli alberi alti e scuri coi piccoli germogli verdi ed era talmente primavera che faceva quasi male.
Lì vicino c'era un ragazzo indiano che vendeva palloncini.

Mi sono seduta e ho preso un caffè e una bottiglietta di acqua gasata. Ogni tanto pensavo a te e guardavo il cielo, mi capita sempre questa cosa di ricordarmi di te e guardare in su, vai a saperlo il perché.
Poi ho visto un palloncino impigliato tra i rami, proprio sopra alla seggiola dove sei ancora seduto, in quella foto che ho fatto tanto tempo fa.
Poi il caffè non era buono come mi ricordavo. 
Poi sono arrivati altri cinque indiani e hanno cominciato a litigare e a spintonarsi col venditore di palloncini e intanto un papà sgridava sua figlia a voce alta, in dialetto.

Allora era sempre primavera, ovviamente, ma non più così tanto.
Mi sono alzata e sono andata via.
Non mi sono voltata indietro neanche per un attimo.

venerdì 16 marzo 2012

Le cose che ho imparato

Ho imparato che dalla gente non devi aspettarti niente. Ma non come se fosse una cosa brutta, eh, no.
Le persone sono come le piante, un melo non potrà mai e poi mai darti albicocche, non potrebbe neanche se lo volesse. Ti darà mele, sempre mele, più o meno buone secondo il tempo, la stagione, la terra in cui vive. Io l'ho imparato adesso, io che voglio i fichi dai meli e le pesche dalle viti, voglio tutto da tutti, in tutte le stagioni, e invece non si fa così, non si può, non è giusto. È una legge della natura, ognuno dà quel che può dare, è sciocco arrabbiarsi se le aspettative sono sbagliate.  

Ho imparato che sono capace di stare da sola. Non credevo, ma è così. Preferisco di no, ma se capita riesco. Poi sola sola non ci resto mai, perché va a finire che alla fermata dell'autobus parlo coi vecchietti, per strada sorrido ai bambini piccoli finchè non mi chiamano per farmi ciao con la mano, al supermercato chiacchiero con le persona in fila e con le cassiere e insomma, non sto mai zitta e a volte parlo anche coi gatti o addirittura coi miei fiori (forse non dovrei dirlo, non figuro bene, ma qualche volta anche loro hanno bisogno di incoraggiamento, non è mica facile neanche essere un fiore, di questi tempi).

Ho imparato che non è vero che tutto passa. Passano le cose, il tempo, le mode, le sensazioni, i treni. Ma certi sentimenti non passano, non si affievoliscono, sono come i diamanti; niente può scalfirli. Diventano parte di te, del tuo essere, come un pezzo che mancava trovano il loro posto e basta, stanno lì.
Si impara a non cercare più di combatterli, a volerli distruggere. Puoi solo metterli da una parte, accettarli come un rumore di fondo.
Alla sera, quando il sole scende, senti una piccola malinconia, come un frullo d'ali nel torace, ed ecco che ti ricordi, che li percepisci. Non fanno neanche più male, quasi.
Mentre il sole scompare, ci pensi ancora un po', guardando il cielo rosso e arancio. Sospiri e vai avanti, e ridi lo stesso, e viene primavera ugualmente, e le stelle son sempre bellissime, e il mondo gira esattamente come prima.

giovedì 15 marzo 2012

Appannata

Dopo i momenti più difficili, mi capita sempre.
Io vivo appannata. Come se ci fosse da qualche parte una manopola per abbassare l'intensità, una specie di termostato. Quando rischio di soccombere, zac, abbasso il volume.
Tutto arriva attutito come attraverso strati di ovatta. Rido moderatamente, mi commuovo poco.
Al mio posto c'è l'androide X-319-AJ, mentre io mi sono lasciata da qualche parte a riposare. Spero di essere vicino al mare, almeno. Sto lì seduta con le braccia intorno alle ginocchia, cercando di occupare meno posto possibile, che ai confini tutt'intorno a me la memoria, la nostalgia, la realtà e altri mostri simili mi assediano aspettando al buio.
L'androide intanto fa quel che deve, incontra gente, arrossisce ai complimenti, risponde al telefono, cose così insomma. Non si emoziona, non si scompone, non si rallegra, non si intristisce, non spera. Fa il suo sporco lavoro. Para i colpi e mi tiene al sicuro.
Intanto io canticchio note senza parole, che le parole mi riportano troppo dentro me stessa e fanno male. Non riesco a leggere, inizio a scrivere e cancello, non guardo film, non ascolto musica. A volte guardo la tv, anche se perfino l'androide si accorge che fa schifo.
Certo che è veramente bravo. Scrive perfino i post. 

giovedì 1 marzo 2012

Lambrusco

Stasera bevo alla mia salute.
Mi verso il vino in un bicchiere qualsiasi. Un vino della mia terra, un rosso porpora che i sommelier alla moda disdegnerebbero di certo. Ne bevo grandi sorsate, senza centellinarlo, a piena gola.
E a piena gola rido, sento il suo sapore di more, di lamponi, di fragole mature, sento le bollicine leggere che frizzano sulla lingua. Poi arriva l'amaro del tannino, che asciuga la bocca, ma non troppo.
Brindo a me, perchè oggi è tutto diverso.
Sospiro di sollievo, finisco il bicchiere, ne verso ancora.
Oggi mi svesto di tutto, dell'attesa, della tristezza, dei ricordi, delle speranze. Sono come vestiti invernali troppo pesanti, oramai, in quest'aria nuova. Oggi smetto di chiedermi il perché. Non voglio più essere quella che piange e che non riesce a mangiare o a dormire mentre tu ridi e fai l'amore con un'altra.

Da oggi voglio essere diversa.

Faccio un altro brindisi e mi prometto di cercare la felicità tenacemente; nei libri, nelle canzoni, nei cibi buoni e nei vini che amo, nei fiori e negli angoli di luce, nell'acqua. In tutte le cose da cui posso prenderla, cercherò la gioia, strappandola coi denti a questa vita bella e crudele che non mantiene mai le sue promesse.
Giuro solennemente di mettere tutto in un cassetto e di ricominciare.
Sono un po' ammaccata sì, ma le cicatrici non sono mortali. Sono viva, dopotutto.
Sono ancora qui, golosa di vita, ancora sognatrice tenera e esigente, forte e sola e tranquilla.
Bevo, e mando giù tutto insieme al vino: le parole che mi hanno ferito, i silenzi, i rifiuti, tutto.
Basta ripensare, basta girare in tondo intorno a te.
Non mi interessa più. Troppo tempo è passato, troppa vita. Niente più importa.

Appoggio il bicchiere, e ti lascio andare. Vai per la tua strada, non ti trattengo più. Non avrei mai lasciato la tua mano, mai, se solo tu avessi stretto forte la mia. Lo sai.

Non mi trattieni più.
La vita chiama forte il mio nome, il mio nome solo.
Rispondo.
Adesso è il mio turno.