martedì 17 aprile 2012

Ora

Qualche volta è bello ricordare. Con questo sole che sembra nuovo di zecca e l'aria ancora fredda ascolto canzoni che non dovrei sentire perché troppo piene di noi. Guardo le foto ed è come se potessi toccarti, come se fossimo ancora vicini, in tutti i sensi.
Mi ricordo i pomeriggi pigri a chiacchierare sul letto, a sentire musica, a fare l'amore. Mi piaceva, dopo, restare lì con gli occhi chiusi, la testa sul tuo petto, a sentire quel piccolo respiro profondo che fai sempre quando ti addormenti, ad annusare il profumo di pesca del tuo bagnoschiuma. Qualche volta non dormivo e guardavo i tuoi capelli sottili, la tua pelle liscia che mi sembrava d'oro. Aprivo gli occhi e cercavo di fotografare con uno sguardo tutto; il lago scintillante fuori dalla finestra, le lenzuola a fiori, le tue gambe e le tue spalle e i tuoi occhi chiusi. Poi ti svegliavi e dicevi dai, alziamoci, andiamo a mangiare, facciamo un giro, guardiamo un film, e io chiedevo sempre "ancora cinque minuti, ancora un pochino, dai, resta qui, ti racconto una storia, ti faccio i grattini, resta qui, fatti abbracciare". Ti stringevo più forte e mi sforzavo di guardare tutto, di respirare profondamente, per non perdermi niente, per fare scorta per i tempi duri.
Poi i tempi duri sono arrivati, e forse sono passati o forse no, dipende dai giorni. Le scorte sono finite, o forse no, visto che ancora sto qua a scriverne.
Ripenso a quel bagliore che avevi, che hai ancora fuori e dentro e che non è più mio.
Ci penso e quella scintilla non vorrei perderla, neanche quando fa più male.
Neanche ora.

domenica 1 aprile 2012

Centonovantanove pezzetti

Prima o poi doveva succedere.
Sono uscita indenne da innumerevoli inferni; bianchi e asettici come ospedali, caotici come stazioni, scuri come abbandoni. Sempre con la mia testarda voglia di dare tutto, di spendere tutto nei rapporti, anche quando mi costava, quando dovevo andare contro il mio egoismo, certa che l'unica mia forza era di mostrarmi così, imperfetta e fragile come sono. Dire "ti voglio bene" per me era una promessa. Non sono mai stata io ad andarmene per prima. Mai. Onesta e sincera, aperta come un libro, dal fango della mia vita sconquassata sono sempre uscita con quel residuo di ingenuità bambina che mi faceva credere che se ti impegni e dai tutto, ottieni tutto.
Non è così.

Guardavo certe donne sempre in tiro, sempre sorridenti, mai un legame serio, sembrava che non le avesse mai sfiorate il dubbio di sentirsi inadeguate. Pensavo, ma guarda che dura, guarda che stronza, ma perché deve fingere sempre, perché non si fa vedere per quella che è davvero?

Poi sono andata in pezzi. Mille volte, prima di cedere.
E quando finalmente mi sono arresa, l'unico modo per tenere insieme i centonovantanove pezzetti che restavano era mettersi intorno una bella corazza. Un guscio traslucido che lasciasse fuori tutti, tutto, tranne me.
Ho imparato che le persone vanno e vengono. Che non c'è bisogno che io stia ad aspettare tessendo la mia tela come Penelope, perché chi va non torna, e chi ha ricevuto affetto o amore non sempre ricambia. Non c'è alcun bisogno di dare il meglio di me, di sforzarmi di essere quella che c'è sempre nonostante tutto.
Ho scoperto che chi si mostra fragile ha perso in partenza. Sempre.
In amore, in amicizia, le regole non cambiano. Mi hanno deluso entrambi, mi hanno ferito allo stesso modo.

Adesso vado in giro con la schiena più dritta, il sorriso un po' ironico. Non abbasso gli occhi davanti a nessuno, non ho bisogno di nessuno. Ogni tanto mi esce dai denti una battuta un po' cinica. Mi trucco più volentieri, sono più leggera. Non sento più nessun peso. Mi godo tutto quel che posso, senza chiedere nulla al domani. Prendo la gente per quello che è.
Anche io finalmente ho la mia buccia.

Qualche volta penso che prima ero una persona migliore, lo so che è così.
Ma, oh, prima di tutto bisogna sopravvivere.